Un calciatore ed un cantante, Manè e Lou Reed
Garrincha, la più grande ala destra di sempre del mondo del pallone e l’ex Velvet Underground, colui che è riuscito ad essere poeta pur facendo musica “semplicemente…che coppia!
Chiaramente, non possiamo che contribuire alle belle parole di questo articolo con il brano perfect day, inciso su disco da RCA nel 1972:
http://youtu.be/QYEC4TZsy-Y
Da Il Giornale:
C’è chi non muore mai, si dice talvolta con un’ipocrisia ed una banalità tinte di innocua positività. La realtà è che tutti muoiono, semplicemente alcuni, dietro di sé, lasciano una scia ineliminabile, eterna. Ciò non significa che questi, nella loro vita, abbiano cambiato il mondo. Significa semplicemente che, a modo loro, sono riusciti a viverci in quel mondo. Garrincha e Lou Reed sono due che, se vogliamo, non moriranno mai, o più semplicemente sono due che, a loro modo, nel mondo ci sono stati, l’hanno vissuto e se anche non l’hanno cambiato, l’hanno certamente plasmato lasciando qualcosa di indelebile nella mente di tante persone.
garrincha dribblingManoel Dos Santos, per tutti Mané Garrincha, ha salutato la vita ben trent’anni fa, ma oggi avrebbe compiuto 80 anni, 80 anni in cui il pettirosso brasiliano avrebbe potuto diventare un esempio, un modello. Tendenza allo strabismo, colonna vertebrale storta, ginocchia incasinate, una gamba più corta dell’altra: questa la sua cartella clinica sin dall’infanzia. Come poteva fare sport un essere così, un ragazzo che, per di più, nei test d’intelligenza compiuti dalla Federazione brasiliana prima dei Mondiali del ’58, su di una scala che andava dallo 0 al 123, totalizzò la miseria di 38 punti? Un idiota praticamente, un bambino che non sarebbe mai cresciuto. Eppure, sul campo, si trasformava: sulla fascia non correva, volava, leggiadro come una piuma spinta da un soffio di vento, immarcabile ed irrefrenabile nella sua folle ed irridente strafottenza con cui saltava l’avversario. Il suo dribbling era scritto in una lingua tutta sua, indecifrabile per ogni avversario, anche per il più abile filologo del calcio. Nella storia del fùtbol bailado è stato il giocatore meno pagato, circa 23 dollari infatti servirono al Botafogo per aggiudicarsi le sue mirabili gesta, ma in pochi anni divenne l’uomo del popolo, il calciatore in grado di portare sul terreno di gioco tutta la gioia, l’estro, la fantasia, la leggerezza di una Nazione che sa vivere la vita come un passo di salsa. Poteva essere un esempio Mané, più amato anche di Pelé narra la leggenda, bambino nella testa e nel cuore, ma non lo fu mai perché proprio quel suo profondo ed infantile animo lo portò nel tunnel dell’alcolismo e della bella vita superficiale. Alcol, donne, alcol, donne, alcol, donne, ancora alcol ed ancora donne. Ed i soldi che venivano buttati via tra una bottiglia di cachaça ed una notte con la sua nuova puttana. Alla fine la storia narra di 14 figli da svariate donne ed un corpo distrutto, non dal destino infame questa volta, ma dall’alcol. Il destino infame l’aveva battuto Mané, fregandosene delle imperfezioni e diventando la più forte ala destra mai esistita, ma l’alcol non lo batté mai, l’alcol divenne parte di sé e lo uccise.
Lou ReedLou Reed invece è un’altra storia, un’altro racconto a cui ieri il fato ha deciso di mettere la parola fine. A 71 anni è infatti morto uno dei più grandi poeti del rock che la storia abbia saputo donare alla musica. Perché porlo al fianco di Garrincha, vi chiederete, ed in effetti le somiglianze si limitano semplicemente alla passione di entrambi per l’alcol e le donne, a cui però Lou ha aggiunto anche la droga, giusto per non farsi mancare niente. Eppure in entrambi, nella vita di entrambi, scorre un’artisticità di fondo che deriva dagli stessi sentimenti: l’inquietudine, l’incapacità di accettare la superiorità della propria arte rispetto al proprio essere uomini. Nelle canzoni di Lou Reed, anche quelle apparentemente più innocue, come Sunday Morning o Perfect Day, è rinvenibile l’agitazione di un subconscio in subbuglio, mai domo, non in grado di gestire tutta quella forza emotiva in un uomo così debole, così incapace di sentirsi soddisfatto da quando, da ragazzino, per combattere una presunta tendenza alla bisessualità, i genitori decisero di curarlo con l’elettroshock. E nelle sgroppate poetiche di Garrincha si può ritrovare il vero Mané, quello che fuori dal campo diventava un bambino, o un uomo idiota che dir si voglia, un uomo non in grado di gestire la sua immensa dote se non che su quel campo da gioco. La musica però, a differenza di un dribbling, rimane e questa, per certi versi, è stata la fortuna di Lou Reed, che nonostante i numerosi bassi avuti nella sua vita ha sempre avuto qualcuno al suo fianco in grado di riportarlo a galla, in grado di ricordargli che lui, per migliaia e milioni di persone, era qualcuno, era una guida poetica. Garrincha invece non ha mai avuto questa fortuna. Lui, l’uomo del popolo, gioia e personificazione di una Nazione, da essa stessa è stato abbandonato proprio quando di essa avrebbe avuto più bisogno. Contro una gamba corta puoi lottare, ma contro un fegato ed un rene spappolato dal bere e contro la memoria corta di una popolazione che hai fatto sognare, ti arrendi, inerme, come mai ti sei arreso su di un campo da calcio.
Garrincha eroe nazionaleE così Lou Reed, nonostante l’alcol e la droga ha potuto continuare a vivere, addirittura ha provato a rinascere nel marzo scorso con un fegato nuovo, ma anche per lui quel fegato spappolato è stata la fine. Le complicanze si sono fatte insormontabili. Lou non era povero d’intelletto come Mané, sapeva che la fine era vicina e me lo immagino salutare il mondo fischiettando la sua Sweet Jane. Garrincha, invece, è morto il 20 gennaio 1983, solo come una puttana dopo l’ultimo cliente, come quelle puttane che aveva tanto amato nella sua vita. E’ morto solo, senza neanche più il proprio corpo, quel corpo deformato ma che gli aveva permesso di mandare in delirio un’intera Nazione con due Coppe del Mondo portate in patria da protagonista assoluto.
Garrincha e Lou Reed sono figli della stessa stella, quella stella dei geni troppo deboli per sopportare con leggerezza il loro talento, quella stella di uomini che nonostante i difetti hanno lasciato qualcosa, ovvero quella scia eterna di cui scrivevo all’inizio. Probabilmente nessuno li accosterà, probabilmente tanti penseranno che queste parole siano un’estrema forzatura. Ma nei virtuali 80 anni di Mané e nel giorno dopo alla morte di Lou volevo solo dire che è veramente un peccato che le canzoni del secondo rimarranno comunque mentre i dribbling del primo, col passare dei giorni e degli anni, probabilmente svaniranno nel nulla, figli di un’epoca poco tecnologica e poco mediatica. Riguardatevi i gol del pettirosso brasiliano ascoltando un paio di canzoni di Lou e vedrete che anche voi troverete, nel profondo, la vicinanza di quei due animi insoddisfatti, combattuti, inquieti. Troverete tutto il peso di due talenti troppo pesanti per due uomini così deboli.